POLIZIA LOCALE: CAMPIONI DAI PIEDI D'ARGILLA
scritto dal dott. Vittorio Tripeni
Una discussione ferragostana non banale ha attratto anche me, intorno al tema dell’organizzazione del lavoro in polizia locale. Quello dei nostri Vigili, insomma. Che a un certo punto, attraverso provvedimenti legislativi a dir poco maldestri, sono stati di colpo trasformati in poliziotti.
Fabrizio Caiazza ha condiviso una sua estesa e articolata riflessione sulla “Grande riforma delle polizie locali in Italia”; a partire dalla sua ormai lunga esperienza di agente e sindacalista.
per chi volesse rileggerlo può cliccare al seguente link: http://movimentopolizialocale.blogspot.com/2017/08/la-grande-riforma-della-polizia-locale.html
Ho molta stima di lui, ritenendolo competente, serio, preparato e integerrimo. A volte un po’ maniacale (in senso estensivo), data la sua dedizione alla difesa della “categoria”; certamente un potente attivatore di energie. Tanto da scuoterci dal torpore delle ferie che quest’anno sono appesantite dal gravame “atmosferico”.
Come molti sanno, non sono un poliziotto e tantomeno un "esperto" di polizia. Mi ritengo un appassionato studioso di "culture organizzative" del lavoro di polizia; con la voglia di conoscere anche altre realtà organizzative al di fuori dei confini nazionali. Con una discreta esperienza sul campo.
dott. Vittorio Tripeni, psicologo clinico e psicoterapeuta
Credo che quella riforma, della quale si parla già da molto tempo, rimarrà una pia illusione; perché, in realtà nessuno la vuole. Soprattutto perché non è ancora possibile fino a oggi, dopo molti anni dalla prima riforma (1986), avere informazioni di dettaglio sulle molteplici realtà delle polizie locali sul territorio nazionale. Certo, si conoscono per approssimazione i “numeri” delle loro attività, ma non cosa fanno, come sono organizzati, che tipo di cultura organizzativa impronta la loro azione, la “qualità” del loro servizio.
Bene, dunque, raccogliere i segnali di umanità che possono arrivare da quanti, come Fabrizio, esprimono il loro malessere sempre più tangibile. Mentre “chi di dovere”, sia a livello tecnico che politico, salvo rarissime eccezioni, dorme sonni tranquilli. Perché, questa è la realtà che emerge anche dalle prime ricerche sul campo.
Condivido appieno quanto Fabrizio afferma. Un ruolo non ben determinato e ormai totalmente anacronistico, quello dell’agente di polizia locale; contrassegnato dalla mancanza di un riconoscimento della propria professionalità, minata da vere incoerenze sul lavoro, un incerto inquadramento operativo nel sistema sicurezza che non è mai stato realizzato compiutamente, misteriosi intrecci normativi ed interessi di comodo da parte della politica. Riformare sì, ma come ?
L’ho ripetuto spesso e lo farò ancora: prima di trovare le soluzioni “migliori”, occorre settare bene i problemi. E credo che, prima ancora di qualsivoglia ri-evoluzione, sia necessario lavorare con impegno con l’obiettivo di definire meglio i problemi relativi alla realtà organizzativa, la cultura, la missione, l’etica … delle attività delle polizie locali. Che, come sappiamo, si presentano in modo molto variegato a seconda delle realtà locali e sono vissute/intese dagli addetti ai lavori (singoli operatori, amministratori e dirigenti tecnici) in modo a volte fantasioso/grottesco.
Stanno mancando informazioni e condivisione delle informazioni sulla reale esperienza, cioè su quanto realmente e realisticamente è vissuto dagli operatori. Perché la realtà operativa contrasta molto con l’immagine fantasticata che spesso viene fornita dai responsabili tecnici e politici delle polizie locali.
E’ vero quanto afferma Fabrizio, il ruolo è “ormai totalmente anacronistico” perché non riesce ad essere in sintonia con la continua evoluzione della realtà sociale. L’evoluzione strutturale dell’organizzazione delle polizie locali non riesce a stare al passo con i continui cambiamenti.
Da decenni le città italiane sono al centro di trasformazioni complesse e la polizia locale rappresenta il principale regolatore dei flussi di una trasformazione urbana e sociale in continua evoluzione.
Sarebbe impensabile immaginare un’organizzazione del lavoro di polizia locale con identici modi di gestione e immutate competenze dei propri collaboratori, senza tener conto dei cambiamenti interni e esterni.
Le città sono cambiate non solo fisicamente. Per quanto sia complicato tenerne conto in questa sede, i cambiamenti economici, sociali e culturali, hanno trasformato completamente le città e le relazioni che animano le città. Sono cambiate anche le persone e le loro percezioni.
La polizia locale, come d’altra parte le altre “polizie”, rappresentano una professione che permette all’individuo di svilupparsi, di realizzarsi, non soltanto attraverso la soddisfazione dei bisogni primari; ma anche grazie alla possibilità di realizzare e mettere in pratica delle strategie di crescita personale fondamentali. Quali, quelle identificative, nei termini dell’affermazione di se e quelle cosiddette di “posizionamento” sociale relative all’immagine riconosciuta.
La percezione che l’operatore di polizia locale ha, riguardo il suo lavoro e la interazione con il suo mondo professionale e i cittadini, influisce sul suo “mondo” personale e professionale ed è certamente interessante oggi mettere in luce questi vissuti.
Di questi argomenti ho riferito all’ultimo Convegno Nazionale della Società Italiana di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, ponendo in evidenza il problema della crisi di identità dell’operatore di polizia locale.
In conclusione, prendendo spunto dall’esperienza di un alto dirigente di una polizia d’oltrAlpe, da me molto stimato.
Un’organizzazione di polizia che voglia trovarsi in sintonia con i cambiamenti interni ed esterni ha bisogno di contare su un corretto stile di conduzione delle risorse umane che non può essere considerato un optional per un dirigente o un quadro intermedio; perché la conduzione delle persone, per il loro sviluppo, non può essere estemporanea o legata alle alternanze di umore di chi gestisce il potere sui collaboratori
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“E’ pura illusione pensare di produrre la soddisfazione del cliente-cittadino, con relativa qualità di un prodotto-servizio, se prima non si realizza la soddisfazione dei collaboratori”.
Milano, 18.08.2014
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