LA POLIZIA LOCALE DEVE OBBLIGATORIAMENTE ESSERE ARMATA
Carissimi Colleghi,
dopo aver letto con particolare attenzione la recentissima circolare ministeriale 557/PAS/U/017997/12982 che reca disposizioni in merito al conferimento di armi ad impulsi elettrici alla Polizia Locale disposto dall’ultimo decreto “Salvini" mi sono soffermato su un aspetto che avevo già attenzionato qualche tempo fa leggendo un articolo scritto dal Comandante della Polizia Locale di Avezzano, Luca Montanari e che oggi riprendo volendo condividere con voi alcune considerazioni in merito.
Per coloro che volessero leggere la circolare su menzionata, la stessa può essere scaricata al seguente link https://www.poliziadistato.it/statics/07/dl-4-ottobre-2018.pdf
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Aldilà dell’innovazione per la nuova dotazione, la circolare menziona correttamente il DM 145/1987 che a sua volta reca disposizioni sull’armamento della Polizia Locale emanato in seguito alla promulgazione della L. 65/1986.
In particolare nelle pagine 6 e segg. vengono ribadite le opzioni circa la possibilità di portare le armi fuori dal territorio di appartenenza.
Tale circolare forse è nata anche a seguito dell'ennesimo pasticcio nel percorso di conversione del DL 113 che ha costretto i relatori a scrivere un dossier informativo a seguito di una proposta di modifica al DDL 840 per sanare l'ennesima norma scritta male che rischiava di limitare ulteriormente le nostre attività.
Tornando alla questione che verte sulla possibilità di portare l'arma fuori territorio, la stessa non è stata sicuramente una concessione a seguito di legittime doglianze della categoria, ma risponde ad esigenze lavorative senza la quale si limiterebbero molte attività sia di rappresentanza che di repressione di fenomeni illeciti accertati sui rispettivi territori.
Fatte queste iniziali precisazioni sulla facoltà di armare il personale di Polizia Locale previsto dall’art. 5 comma 5 della L. 65/1986, è opportuno fare un approfondimento partendo dal fatto che ancora molti sono i comuni che hanno ignorato tale possibilità tra i quali compaiono anche città capoluogo come Ancona, Ferrara e Lecco.
Al netto quindi della facoltà concessa nella L. 65/1986, sarebbe utile analizzare anzitutto la sentenza della corte di cassazione sez. lavoro, n. 13464/16, depositata il 30 giugno 2016.
Secondo gli Ermellini, "in virtù del generale dovere di sicurezza incombente ai sensi dell'art. 2087 codice civile, è addebitabile al datore di lavoro la responsabilità per il danno occorso al lavoratore che appaia causalmente riconducibile, in mancanza di prova contraria, all'assenza di misure di prevenzione, le quali, ancorché non espressamente imposte dalla legge, siano suggerite dagli standard di sicurezza normalmente osservati o da conoscenze sperimentali o tecniche".
Infatti in base all'obbligo derivante dall'art. 2087, il datore di lavoro deve provvedere a garantire la sicurezza dei lavoratori attuando gli interventi più adeguati anche in base all'esperienza e ai criteri generali di prudenza e diligenza.
Secondo il prof. Massimo Roccella (ordinario di diritto del lavoro presso l'Università degli studi di Torino), l'obbligo di sicurezza deriva dalla struttura stessa del rapporto di lavoro subordinato, che comporta per il datore di lavoro "l'adempimento di doveri, cui corrispondono paralleli diritti dei lavoratori". Sicché "il lavoratore può considerarsi nei confronti del datore di lavoro, a ben vedere, creditore non soltanto di retribuzione, ma anche di sicurezza".
Risulta quindi sempre più chiaro l’obbligo di armare il personale di Polizia Locale per limitare i rischi ed i pericoli sul luogo di lavoro soprattutto se le colleghiamo alle definizioni offerte dall’art. 2 c.1 del D. Lgs. 81/2008, che presentano enunciazioni fondamentali ai fini della comprensione dei doveri in capo al datore di lavoro, il quale dovrà adottare il complesso delle disposizioni e misure necessarie anche tenendo conto della particolarità del lavoro e del profilo professionale di ciascun dipendente.
E non vi è alcun dubbio che l'operatore di Polizia Locale sia destinatario di un rischio suo proprio, specifico e insito nell'esercizio delle funzioni che per legge è chiamato a svolgere: funzioni di polizia giudiziaria, di polizia stradale, di polizia amministrativa e di pubblica sicurezza.
Funzioni alle quali non è possibile sottrarsi, come invece potrebbe fare un impiegato dell'ufficio anagrafe qualora chiamato dal suo dirigente a lavorare in una struttura insalubre e diroccata, mettendo a rischio l'incolumità personale.
Le funzioni di polizia importano obblighi cogenti come quello di pronto intervento, di reazione a ogni azione di contrasto all'ordine costituito, di fermo o di arresto, dovendo respingere violenze e vincere resistenze anche con l'uso legittimo delle armi (art. 53 codice penale), presupponendo responsabilità di carattere penale per gli agenti e ufficiali tardivi, o omissivi (artt. 323, 328, 329, ecc., codice penale).
Chi ha un particolare dovere di esposizione al pericolo, non può mai giustificare la propria omissione e gli operatori di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza hanno ontologicamente tale particolare dovere.
Si pensi al caso emblematico dell'agente di Polizia Locale che si trovi casualmente di fronte ad un rapinatore armato senza alcuna possibilità di sottrarsi al suo dovere di intervento salvo commettere il delitto di omissione in atti d'ufficio.
Si pensi al caso emblematico dell'agente di Polizia Locale che si trovi casualmente di fronte ad un rapinatore armato senza alcuna possibilità di sottrarsi al suo dovere di intervento salvo commettere il delitto di omissione in atti d'ufficio.
In presenza di questo complesso quadro normativo, risulta quindi incomprensibile la mera facoltà di armare il personale di Polizia Locale ai sensi dell’art. 5 L. 65/1986 ed ancor più incomprensibile risulta l’art. 1 D.M. 145/1987, il quale impone che l’eventuale arma in dotazione deve essere usata esclusivamente per difesa personale.
Tale ultimo decreto, collide chiaramente con gli obblighi imposti ad esempio dall’art. 55 c.p.p. che recita testualmente: “la polizia giudiziaria (quindi anche gli operatori di Polizia Locale) deve, anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.
Come può un operatore di Polizia Locale disarmato, in presenza di una vecchietta appena uscita dall’ufficio postale, minacciata da un malvivente armato che le impone di consegnarle la pensione, rispettare il codice di procedura penale e come può un operatore di Polizia Locale armato intervenire se l’uso dell’arma di ordinanza ai sensi del D.M. 145/87 viene consentita esclusivamente per legittima difesa non essendo egli direttamente minacciato?
In ultimissima analisi, un’ulteriore sentenza della corte di Cassazione, Sez. lavoro, 19 febbraio 2016, n. 3306, secondo la quale "Ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., l'obbligo del datore di lavoro di tutelare l'integrità fisiopsichica dei dipendenti impone l'adozione di misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità nell'ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad attività collegate direttamente allo stesso come le aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi, non essendo detti eventi coperti dalla tutela antinfortunistica di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 e giustificandosi l'interpretazione estensiva della predetta norma al rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.) cui deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro".
Insomma, sempre secondo gli Ermellini è necessario che il datore di lavoro tuteli non solo la salute del lavoratore nell'ambiente di lavoro, ma addirittura in relazione ad attività collegate direttamente allo stesso, secondo una interpretazione estensiva della norma, la cui portata si spinge pure agli ambienti di casa o di svago se fin lì possono arrivare gli effetti pericolosi dell'attività lavorativa e nella sentenza si parla chiaramente di aggressioni conseguenti all'attività criminosa di terzi, perpetrate fuori dell'ambiente di lavoro in esito all'attività lavorativa svolta.
Alla luce di tutte queste considerazioni, si ritiene che la facoltà prevista dall’art. 5 della L. 65/1986 debba ritenersi un obbligo e l’uso delle armi per difesa personale previsto dal DM 145 debba ritenersi ormai ampiamente superato dalla giurisprudenza.
In altri termini, ora si spiega meglio l’esigenza da parte del Ministero dell’interno di emanare l’ultima circolare ministeriale citata all’inizio del presente paragrafo, inserendosi in un quadro normativo carente e contraddittorio.
Fabrizio Caiazza
Milano, 02.02.2019
*si ringrazia il Comandante della Polizia Locale di Avezzano dott. Luca Montanaro per aver gentilmente concesso le ricerche giurisprudenziali presenti in questo articolo
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